"Il vetro questo Signore incontrastato della mia vita, questo despota che mi costringe, schiavo felice, a realizzarmi davanti al fuoco che consuma ma materializza le mie fantasie e la mia capacità, esige pronta, diretta, partecipe assonanza - scriveva di sé Signoretto - Sono cresciuto alla dura scuola di un maestro impareggiabile, Alfredo Barbini, che molto dileggiava il mio desiderio di imparare e di realizzare; il colpo che dava alla canna distruggendo qualcosa che stavo creando voleva dire 'insisti ragazzo prova l'incomprensione, le difficoltà che ti attendono in avvenire, considera la fragilità della tua creazione che un soffio può distruggere. Persevera ragazzo perché se sarai caparbio, duro, costante arriverai ad appagare il tuo desiderio, quel tuo sentire di forme e colori che intuisco esistere in te e che ti auguro potrai raggiungere'. Su questa strada ho proseguito: ora gli altri mi chiamano maestro, ma nel mio io so quanto ancora devo imparare. Ad ogni modo sono orgoglioso di essere un maestro vetraio, titolo che la Serenissima, otto secoli fa, considerava pari a quello dei patrizi. Per il maestro era nobiltà d'arte, per il patrizio nobiltà di sangue. Il maestro vetrario non può tornare indietro: il suo segno rimane, indomabile, non gli è permesso sbagliare".